03 giugno 2007

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Sempre, ogni volta che ci pareva di aver trovato la risposta a un problema, uno di noi scioglieva, sulla parete, il nastro dell'antico rotolo cinese sí che svolgesse e visibile apparisse l'Uomo Seduto che tanto dubitava. Io, ci diceva, sono Colui che dubita. Dubito che sia riuscito il lavoro che v'ha inghiottiti i giorni. Che, quel che avete detto, se detto peggio valga tuttavia per qualcuno. Che lo abbiate detto bene e che forse un po' troppo vi siate, alla verità di quanto avete detto, affidati. Che sia ambiguo: per ogni possibile errore vostra sarebbe la colpa. Può anche essere troppo univoco e allontanar dalle cose la contraddizione; non è troppo univoco? Allora quel che dite è inutilizzabile. Le cose vostre sono inanimate, allora. Siete realmente nel corso degli eventi? Compresi con tutto quel che diviene? Siete ancora in divenire, voi? Chi siete? A chi parlate? A chi serve quel che state dicendo? E, fra parentesi: vi lascia sobri? Si può leggerlo di mattina? È anche congiunto al presente? Le tesi davanti a voi enunciate son messe a profitto o almeno confutate? Tutto è documentabile? Per esperienza? Di chi? Ma prima di tutto e sempre, e ancora prima d'ogni cosa: come si agisce se si crede a quel che dite? Prima di tutto: come si agisce? Pensierosi noi si considerava con curiosità l'Uomo Turchino dubitare dal quadro, ci si guardava e da capo si ricominciava.

Bertolt Brecht

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