22 aprile 2008

Pene d'amore antiche e nuove

Cessate, omai, cessate
rimembranze crudeli
d'un affetto tiranno,
già barbare e spietate
mi cangiaste i contenti
in un immenso affanno.

Cessate, omai cessate,
di lacerarmi il petto,
di trafiggermi l'alma,
di toglier al mio cor riposo e calma.

Povero core afflitto e abbandonato
se ti toglie la pace
un affetto tiranno,
perché un volto spietato, un'alma infida,
la sola crudeltà pasce e annida.

Ah, ch'infelice sempre
mi vuol Dorilla ingrata,
ah, sempre più spietata
m'astringe a lagrimar.

Per me non v'è ristoro,
per me non v'è più speme,
e il fier martoro
e le mie pene
solo la morte
può consolar.

A voi dunque ricorro,
orridi spechi, taciturni orrori,
solitari ritiri ed ombre amiche,
tra voi porto il mio duolo,
perché spero da voi quella pietade,
che n'Dorilla inumana non annida.

Vengo, spelonche amate,
vengo, spechi graditi,
affine meco involto
il mio tormento in voi resti sepolto.

Nell'orrido albergo,
ricetto di pene,
potrò il mio tormento
sfogare contento,
potrò ad alta voce
chiamare spietata
Dorilla l'ingrata,
morire potrò.

Andrò d'Acheronte
su la nera sponda,
tingendo quell'onda
di sangue innocente,
gridando vendetta,
ed ombra baccante
vendetta farò.


Antonio Lucio Vivaldi, (1678 - 1741)
Cantata "Cessate omai cessate"

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