26 aprile 2008

MIA ZIA e altre incombenze

Mia zia scrive libri. E scrive da quando aveva 40 anni, perché prima ha dovuto imparare la differenza fra la f e la v, che sempre le é stata oscura.

Si chiama Anna Rita e scrive i suoi libri per ore al giorno. Si alza, fa colazione, e poi va in camera sua a scrivere. Dopo pranzo, si lava piatto e bicchiere, e poi torna a scrivere.

Adesso ha qualche problema con gli occhi, dice che "Nun me fa' più ll'occhiali" pero' non smette mai di scrivere, piega la schiena, che a settantacinque anni le fa male, e continua.

Copia romanzi d'amore, su quaderni a righe di terza elementare.

Prima leggeva ad alta voce. Adesso scrive.

Non so bene quando abbia cominciato, ma mia madre e mia zia Titta, l'altra sua sorella, hanno smesso di lamentarsi della lettura solo quando ha cominciato a scrivere, in silenzio, e curva sui quaderni.

Si, perché prima leggeva a voce alta e incessantemente, in modo che perfino i vicini credevano che nel palazzo qualcuno stesse pregando, o recitando il rosario. Leggeva lagnosamente ma con sentimento, e sorridendo a mezza bocca, mentre si raccontava le storie del libro e inciampava nelle parole sconosciute.

Di quelle ne ha certo incontrate tante, povera zia, perché ha fatto solo qualche anno di elementari, e dell'esistenza di certi termini proprio non era stata avvertita.

Ma non si é mai sognata di impararli per non incespicarci sopra la volta successiva: ha continuato a balbettare davanti ai misteri della lingua, a ripetere sillabando i lati oscuri dello scritto, e ancora non si é fermata.

Forse scrive perché leggere in silenzio non fa per lei, e non potendo più cantilenare le sue storie, le sposta sulla carta. Pare che non possa fare mai una sola cosa per volta.

Mia madre, che si chiamava Novella, la sopportava più della zia Titta: lei cuciva le maglie che aveva fatto con la macchina per maglieria, e quell'altra, Anna Rita, leggeva senza requie. In casa, sul balcone, nella sua camera o in cucina, a seconda della stagione o dell'ora del giorno, ma sempre con la stessa cadenza e con lo stesso sorrisetto latente.

La zia Anna Rita è la terza di quattro figlie, nate a mia nonna ad intervalli di cinque anni una dall'altra, mentre nel mezzo tentava sempre di uscire un figlio maschio che inevitabilmente moriva prima di riuscirci.

Per mio nonno, falegname, bello, alto e con gli occhi azzurri, 4 figlie di cui nessuna con gli occhi azzurri, solo due pari a lui in altezza, tre pari a lui in intelligenza e una piccola e grassa, e non intelligente, ne' quanto lui ne' quanto nonna, non sono state facili da allevare

Se la é cavata appioppando a mia madre, la più grande, l'incarico di figlio maschio che lo aiutava nella bottega di falegname, a mia zia Peppina - prima che morisse a 18 anni sotto l'ultima bomba caduta ad Osimo - il ruolo di intellettuale della famiglia con il diploma alle magistrali, e a mia zia Titta il rimpiazzo della zia Peppina alle magistrali, dopo il 1945.

Per zia Anna schiaffi e lavoro alla macchina per maglieria, ad aiutare nonna, perché non avrebbe potuto fare altro, e anche quello le veniva maluccio.

Per quanto riguarda gli schiaffi credo che nonno, in misura diversa, non li abbia risparmiati a nessuna delle sue figlie, almeno finché la bomba non gli ha fatto capire, a lui che in realtà le amava molto, che poteva anche perderle da un momento all'altro.

Mia nonna diceva - e ha ripetuto fino al suo ultimo giorno - "Che croce vi lascio figlie mie" riferendosi alla zia Anna che certamente sarebbe sopravvissuta alla sua morte.

Se avesse saputo, nonnetta, che zia Anna non solo ha resistito a lei e al nonno, ma anche a mio zio Peppe, marito di Titta, a mio padre Giovanni e a mia madre Novella e ad una serie di parenti più giovani di lei e ancora oggi regge egregiamente mentre zia Titta ha già avuto un infarto, si sarebbe preoccupata ancora di più dell'incarico che ci lasciava.

La zia, infatti, non sa fare nulla che possa dirsi utile per la sua sopravvivenza: non sa accendere il gas, non sa cucinare, non riesce a lavare ne' se stessa ne' le sue mutande, pensa di avere 28 anni, e la sua unica preoccupazione é rinnovarsi un abito nuovo a Pasqua, e magari anche un cappotto a Natale, con tanto di borsa e scarpe in tinta, come quando nonna glie li faceva fare su misura dalla sarta.

A parte quel che legge, e che scrive, non sa nulla della vita reale, non ha pratica di alcunché e qualsiasi bambina di 10 anni può darle punti in qualsiasi argomento.

In compenso ha una certa dose di furbizia e di memoria, che le ha procurato la cancellazione della pensione di invalidità, grazie ad una commissione ben lieta di sentirsi raccontare la ricetta degli gnocchi, a riprova della sua autosufficienza.

Immagino che gli illustri dottori non aspettassero altro, e che tutte le testimonianze di parenti e medici non contassero nulla per loro di fronte ad una povera ignorante che per non sentirsi tale sfodera tutto quello che sa, come se dovesse salvare l'onore suo e della famiglia.

Che la ricetta l'avesse letta in uno dei suoi libri, o ricordata a memoria dalle giornate passate in cucina con nonna, poco importa. Importa che é stata riconosciuta autosufficiente e che zia Titta, che ora la tiene sempre con sé dopo la morte di mia madre, ha dovuto restituire allo Stato le pensioni degli ultimi dieci anni.

I quali anni, a proposito, passano solo fisicamente per la mitica zia, perché non può accadere nulla al suo cervello: non c'é demenza che possa confonderlo ne' vecchiaia che possa consumarlo, visto che di guizzi intellettivi ne ha visti così pochi da sembrare affetto da quelle disgrazie fin dalla più tenera età.

A me, la zia Anna, ha sempre fatto pena, una gran pena e una gran tenerezza.

A dire il vero mi ha fatto anche arrabbiare, e non poche volte, ma me la sono portata anche in Costarica, nella mia casa in costruzione nella giungla, per rispettare il turno di custodia assegnato a mia mamma, che voleva zia Anna sei mesi a Torino con lei e sei mesi a Osimo, per non pesare troppo sulle spalle di una sola sorella.

Tutto il paese si stupì quando le fecero fare il passaporto, a lei che a malapena sapeva dove sta Ancona.

Mamma e zia hanno passato tre mesi fra coccodrilli e ragni, in un soggiorno per loro avventuroso e incredibile, e ancora adesso quando guardo le fotografie di quel periodo mi vengono le lacrime agli occhi dal ridere, ma certo anche per la nostalgia.

Di quei mesi la zia ricorda solo che la sua camera non aveva ancora le porte e che non trovava il "bottone" per accendere la luce sopra il letto: tante volte sono accorsa in camera sua e l'ho trovata di traverso sul materasso mentre annaspava nel buio e gridava di voler fare pipi.

A dirla tutta a me ha fatto anche comodo, la zia, perché ha tenuto compagnia a mia madre ormai vedova, mentre io scorribandavo per il mondo e, sapendola in compagnia, tacitavo il mio senso di colpa di figlia unica e poco presente.

Sulla mamma, invece, la sua presenza ha forse influito negativamente: sentirla cantare libri dal mattino alla sera e non poter intrattenere con lei alcun dialogo coerente deve averla spinta più in fretta e più in giù verso la malattia mentale che l'aspettava al varco.

E questo sospetto, accucciato e maligno, vive fra le pieghe del sacchetto di dolori che mi porto appresso, e che cerco da anni di non aprire.

Oggi zia Anna é molto dimagrita, è piccola e sparuta, come tutti i vecchietti; copia curva e solerte le sue storie d'amore, toglie la polvere in camera da letto e va a passeggio con un'assistente sociale del Comune che tre volte alla settimana viene a prenderla a casa, ultimo e unico aiuto pubblico concesso dalla Commissione Togli-Pensioni che tutto sa.

Zia Titta la sopporta malamente, lei stessa sta in bilico sullo stesso baratro che ha inghiottito mia madre, combatte l'ondeggiare della memoria con le parole incrociate e frequentando le compagne delle magistrali, ora nonne quanto lei e dal decolté non più tanto solido.

Mentre zia Anna é chiusa in camera sua a recitare libri, Titta mi ripete al telefono le stesse domande come fossero nuove, e il mio cuore si strizza, e torna indietro di dieci anni, a quando mia madre cominciò la sua strada verso il buio dell'Alzhaimer.

Ma questa è un'altra storia.

2 novembre 2007

2 commenti:

cenadelle donne ha detto...

Ciao, scrivi molto bene, è bello leggerti! Mi è capitato per caso il tuo blog, stavo cercando l' opera di vivaldi e sei spuntata tu, una bella sorpresa! Piacere di averti incrociata, buona vita! Viola

Silence ha detto...

Grazie Viola, anche il tuo commento è stata una sorpresa, ho chiuso questo blog quasi due anni fa, ci metto dentro qualcosa ogni tanto....

buona vita anche a te
geppi